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ALTA MODA: IL VENETO ORMAI E' TUTTO CINESE


Veneto un imprenditore della moda su quattro è cinese. È nei distretti manifatturieri e nel contoterzismo, leva forte della produttività, la maggiore concentrazione degli imprenditori asiatici. “I cinesi? O lavori con loro o chiudi” si sente dire sempre più spesso in Riviera del Brenta, dove c’è il distretto della calzatura più strutturato d’Italia. Louis Vuitton, Chloé, Saint Laurent, Gucci e Dolce e Gabbana affidano i loro campionari alle 700 piccole aziende della Riviera, dove hanno aperto per gemmazione almeno un centinaio di laboratori cinesi “regolari” negli ultimi due-tre anni. “Sono tomaifici e produzioni di semilavorato – dice Giuseppe Baiardo presidente dell’Acrib, l’associazione che fa capo al distretto – la verità è che tutta la parte manuale delle produzione è in mano ai cinesi”. Come giudica le aziende che si affidano ai laboratori cinesi? “È una necessità, lo faccio anch’io. Se non ci fossero loro dovremmo delocalizzare tutti. Provate ad andare nelle concerie di Arzignano nel Vicentino, entri nelle fabbriche e ti sembra di essere all’estero”.

I CINESI PERÒ non sono solo manodopera, diventano anche imprenditori alla svelta. “Hanno una spiccata mentalità imprenditoriale come noi veneti” racconta “l’indiano”. Lo chiamano così perché fa abbigliamento in pelle, ha due laboratori a Noventa Padovana, produce per i grandi marchi di abbigliamento. Quasi il 50 per cento dei suoi dipendenti sono cinesi, venti su 45 operai. “Quando si sposano non ricevono regali ma soldi per aprire un piccolo laboratorio, racconta Baiardo. E ancora: “Quando ho assunto i primi, dieci anni fa, mi volevano restituire i soldi ad agosto perché non sapevano nemmeno cosa fossero le ferie. Ora leggono le buste paga meglio di noi, e vanno dai sindacati appena qualcosa non va. Però delle regole se ne fregano”. Che vuol dire? “Seguendo la legge 626 sulla sicurezza gli ho comprato le scarpe antinfortunistica, il caschetto e tutta l’attrezzatura. Ma non c’è modo di fargliela mettere: non vogliono, hanno caldo, si rifiutano. E io devo abbozzare. Quando quelli della mia generazione andranno in pensione rischiamo di lasciare il distretto in mano ai cinesi”. Per i veneti un’anatema che si ripete: “Diventeremo come Prato”. Una possibilità che sembra lontana per ora, anche se i dati inediti raccolti da Confartigianato (in una ricerca dal titolo: “Assalto al manifatturiero”) rilevano che in Veneto la metà delle 4 mila imprese a conduzione cinese operano nella moda, e rappresentano un quarto dell’imprenditoria del settore. “Sono dati allarmanti, servono misure straordinarie”, commenta Giuliano Secco responsabile Federazione Moda di Confartigianato. Nel terzo trimestre 2010 operano quasi 4 mila titolari di imprese individuali di origine cinese (dati Movimprese). I comparti con la maggiore consistenza sono tessile abbigliamento, pelli e mobili, seguiti a distanza da commercio e ristorazione.

I PUNTI DI FORZA della competitività asiatica sono noti: costi bassissimi, consegne estremamente rapide, alta flessibilità. Ma anche i margini di irregolarità sono elevati. “Si è riscontrato – dice Secco di Confartigianato – che molto spesso i laboratori vengono fatti aprire a dei prestanome controllabili, in realtà la regia è gestita da altre persone sempre le stesse, tipo capi clan locali. I laboratori, una volta ottenuta la partita Iva, iniziano a lavorare notte e giorno per un anno e mezzo senza versare un euro di Iva. Questo perché non superando i due esercizi fiscali riescono a evitare i controlli”. Margini di competitività basati spesso su manodopera clandestina o peggio minorenne che hanno stritolato tante aziende locali. Come alla Meeting di Fontanelle nel Trevigiano che commercializza abbigliamento sportivo dove i terzisti cinesi hanno affittato i locali ai piani inferiori, o alla Rr Sartoria di Mogliano che lavorava per Loro Piana, Armani e Dolce e Gabbana, costretta a dichiarare fallimento e mettere tutte le 44 sarte dipendenti in cassa integrazione. “Sono moltissime anche le stirerie nel Trevigiano e nel Vicentino passate in mano ai cinesi, ma anche le camicerie, i piccoli laboratori di pellame, di trasformazione del denim e di lavorazioni artigianali del pronto e dell’alta moda” racconta un imprenditore di Treviso. Tutti vogliono rimanere anonimi, parlare della concorrenza “gialla” in Veneto è tabù. A Treviso Confartigianato della Marca ha istituito una commissione mista assieme alla Guardia di Finanza per rendere più frequenti i controlli nei laboratori in odore di clandestinità.

A PADOVA, dove su 1.800 titolari del tessile abbigliamento 569 sono cinesi si vuole seguire il modello di Treviso. Idem a Rovigo, dove l’incidenza dei titolari “gialli” della moda è salita al 55,6% del totale degli imprenditori. Si perché se in tutte le province venete le imprese calano per effetto della crisi, quelle gestite dai cinesi aumentano, spostandosi nelle province meno controllate. Aumentano del 3 per cento gli imprenditori asiatici a Rovigo, Treviso (+2,7) e Vicenza, calano a Venezia e Verona dove si registra un -16,7 per cento. “Abbiamo fatto delle analisi per singoli Comuni – conclude Secco – che dimostrano come la Bassa Padovana e il rodigino siano le nuove grandi aree di conquista dei cinesi”.

di Erminia della Frattina – IFQ


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